“Sera dell’11 gennaio (1931) a Parigi. Nella villetta rossa avvolta nelle nebbie del Boulevard Berthier, sinistro sotto il leggero nevischio, Giovanni Boldini si spegneva dolcemente.
In quelle ultime ore egli ancora riusciva a far sorridere chi lo curava. Verso le dieci, una espressione di gravità nuova velò il volto stanco, ed il Maestro chiamò la giovane moglie. Inginocchiata accanto al letto, la signora appoggiò la guancia alla mano scarna che la cercava. Accarezzando i capelli della testa affranta il Maestro implorò: “Ne pleure pas, mon enfant… ho tanto vissuto… Non ho paura… non temere” – aprì i grandi occhi azzurri, e con voce alterata ma stranamente forte e risonante, aggiunse: ”Quando sarò guarito ti comprerò un vestito nero… lungo e ti farò un ritratto grande…grande… così”.
Poche ore dopo Giovanni Boldini moriva serenamente, senza sforzo, con una certa eleganza di uomo che fa bene ogni cosa a suo tempo, quell’eleganza semplice e naturale con cui aveva vissuto.
Il grande studio dove Boldini aveva lavorato per oltre mezzo secolo era ingombro di tele, dI oggetti d’arte, di mobili, di cartelle di disegni”.
Dalla natia Ferrara Giovanni Boldini (Ferrara 1842 – Parigi 1931) si era trasferito a Firenze nel 1864 e poi a Parigi nel 1871, dove entrò in contatto con l’alta borghesia e l’aristocrazia francese e americana. Divenne il ritrattista più celebre di fine Ottocento. Abitò inizialmente a Place Pigalle, crocevia di artisti che, come lui, si ritrovavano al Caffè de la Nouvelle Athènes, dove si tenevano confronti e serrate discussioni, si programmava il futuro delle arti. Nasceva l’arte moderna. Con Degas, che lo considerava “il demone della pittura”, il pittore più tecnicamente dotato del tempo, Boldini strinse una sincera amicizia, un rapporto di profonda e vicendevole stima. Il genio ferrarese, come nessun altro, seppe tradurre in immagini la vitalità, la concitazione e il senso di un’epoca, la cosiddetta Belle Époque. Le sue ravvicinate inquadrature, simili a fotogrammi, i suoi quadri, che assomigliano scatti mossi, fissano la dinamicità dell’attimo fuggente, con pennellate lunghe e vibranti, che paiono vere e proprie sciabolate di colore.
Oggi, nel giorno dell’anniversario dei novant’anni dalla morte, l’Italia gli rende omaggio con una grande mostra (Giovanni Boldini. Il Piacere, 170 opere, Museo Mart di Rovereto; in attesa di apertura causa restrizioni governative anti Covid) e stamani una delegazione dei massimi studiosi dell’artista e autorità si è ritrovata di fronte alla tomba monumentale alla Certosa di Ferrara, per rendergli omaggio. Fra loro il presidente della Fondazione Ferrara Arte Vittorio Sgarbi e il direttore Pietro Di Natale, l’assessore alla cultura Marco Gulinelli, il direttore del Comitato di studio per le celebrazioni del novantesimo anno dalla morte di Giovanni Boldini, Tiziano Panconi e Lucio Scardino, membro del Comitato, composto anche da: Beatrice Avanzi, Loredana Angiolino, Maria Teresa Benedetti, Almerinda Di Benedetto, Elena Di Raddo, Leo Lecci, Marina Mattei, Gioia Mori.