A partire dai primi anni del Novecento, Giovanni Boldini intrattiene uno stretto rapporto di amicizia con John Singer Sargent. Le sue vicende artistiche e personali si incrociano infatti ripetutamente con quelle del pittore americano.
A tutt’oggi non si conosce il momento preciso del loro primo incontro, avvenuto verosimilmente a Parigi grazie alla mediazione di Paul Helleu, amico di entrambi. Da quanto ci è permesso ricavare dai dati finora in nostro possesso, si può avanzare una datazione prossima alla fine degli anni settanta dell’Ottocento, mentre sono documentati con maggior certezza i contatti nei periodi successivi, quando assumono una forma duratura e proficua, rafforzata soprattutto da quel giro di amicizie comuni che li porta a frequentarsi costantemente.
È facile pensare come Sargent potesse favorire la creazione di legami e conoscenze utili agli affari professionali di Boldini. Già durante il 1891 si era rivolto direttamente ai propri facoltosi committenti americani per avvisarli del futuro viaggio oltreoceano di Boldini, intrapreso poi tra l’autunno e l’inverno 1897-1898, e prima ancora a Parigi lo aveva introdotto presso i suoi brillanti amici della colonia cilena.
Nel corso del 1902 la ricca collezionista Mary Hunter, intima amica di Sargent e sua conoscente fin dal 1895, scambia molte lettere con Boldini, ricordando di avergli commissionato il proprio ritratto. La signora, appassionata cultrice dell’ambiente artistico europeo, colleziona infatti svariate opere che la raffigurano, come il costume del tempo richiede. Sargent e Antonio Mancini eseguono alcune sue affascinanti effigi e Auguste Rodin un busto marmoreo.
La corrispondenza inedita, risalente al 1903, consente di stabilire con certezza che nel mese di giugno il dipinto concepito dal ferrarese è ormai pronto e il pittore si appresta a dare le ultime passate di vernice. L’artista informa così la Hunter dell’arrivo del fotografo nel suo studio parigino di boulevard Berthier per eseguire una riproduzione da inviarle direttamente a Bagnoles de l’Orne, dove lei si trova per le consuete cure termali, affinché possa giudicare di persona della sua riuscita.
Successivamente la invita a passare al più presto in atelier, dove tra l’altro in quel momento è presente l’amico Helleu, rimasto “incantato” dal ritratto. E ancora le chiede un’ulteriore seduta “per fare una piccola cosa d’una grande importanza nel vostro ritratto”. Ricorda anche di aver appena appreso dai giornali della morte di James Abbott McNeill Whistler, “un grande pittore che è scomparso che ha inventato e creato”.
La Hunter prega poi il pittore di lasciar vedere la tela a un’amica, dichiarandosi molto soddisfatta della sua conclusione. “Il ritratto me lo sento nelle mie vene – scrive – non dimenticherò mai le mie sedute da voi. Mai difficoltà, mai malintesi. Mi creda per sempre vostra sincera amica”.
L’avvicinamento tra loro è favorito anche dagli assidui spostamenti del pittore, tra il 1902 e il 1903, a Londra, dove la signora dimora al 65 di Grosvenor Street Boldini in quegli anni si reca spesso in quella città considerando anche l’opportunità di trasferirvisi e di aprire un atelier. Sicuramente i due si incontrano alla fine del luglio 1902: la Hunter è a Londra poiché il 31 di quel mese sua figlia Sylvia si sposa con Sir John Grant Lawson e, in una lettera al pittore, ricorda di come sia occupata con una delle sue tre figliole. Nello stesso periodo arriva anche Boldini, la cui permanenza è indirettamente confermata da varie missive recapitate presso il suo indirizzo al 39 di Hyde Park Gate e datate fine luglio.
Tuttavia Boldini non partecipa al matrimonio perché rientra a Parigi, da dove il 2 agosto scrive alla signora per scusarsi della sua assenza.
Purtroppo il ritratto di Lady Hunter, nonostante sia sufficientemente documentato, rimane sconosciuto, e anche la promessa della stessa signora di presentarlo a una futura esposizione alla Royal Academy of Arts, a seguito dell’interessamento di Edward Poynter, presidente della medesima, non viene mantenuta.
Il pittore si prepara comunque per questa evenienza che sembra doversi concretizzare: dalla missiva del 1° agosto apprendiamo della partenza per Trouville, ma anche dell’impellenza di occuparsi di nuovo del dipinto. “Sarà anche necessario […] che il presidente mi invii qualche informazione e qualche consiglio per farlo ben riuscire.” E invita la signora a incontrarlo al più presto con indosso un abito vero e grazioso.
A settembre scrive di nuovo alla Hunter perché ha avuto un’idea che sembra appagare la sua inventiva: “Lasciate tutto vi prego e venite a Parigi ne vale la pena ho trovato qualcosa che renderà il ritratto molto piacevole. Un corpetto bianco di mussola in pizzo all’ultima moda. Sono arrivato da due giorni e sto facendo fuoco e fiamme per il vostro ritratto”.
Alla fine, decide di intervenire sull’opera già finita apportando degli aggiustamenti volti ad aumentarne l’attrattiva, anche se tutto ciò comporterà la necessità di ripassare la vernice sull’intera superficie della tela. Ma questo non è un problema perché può contare sulla sua grande abilità d’artista!
Quando Boldini giunge nella città inglese, Sargent, che vi risiede sin dal 1886, è molto impegnato con le commissioni per il ricco mercante Asher Wertheimer e il pittore italiano si ritrova coinvolto in quel vivace fermento creativo, ottenendo l’incarico di ritrarre una delle figlie di quest’ultimo: Elizabeth. Il dipinto, successivamente terminato a Parigi, è presentato nel 1906 alla Sesta Esposizione dell’International Society of Sculptors, Painters & Gravers tenutasi alla New Gallery di Regent Street a Londra tra gennaio e febbraio. Nella recensione sulla rivista “The Studio” è riconosciuta l’efficacia dell’opera, dovuta alla stupefacente tecnica dell’artista e alla sua maestria pittorica, rese entrambe con la consueta e spiccata disinvoltura della sua manualità. Alla rassegna, dal forte carattere di internazionalità, come tutte le altre promosse dalla società, partecipa anche John Lavery, che ricopre al tempo stesso la carica di vicepresidente, mentre presidente del comitato esecutivo è Auguste Rodin subentrato all’ammiratissimo James Abbott McNeill Whistler, titolare dal 1897 al 1903. Boldini è membro onorario, come Paul Helleu e Anders Zorn. Personalità, queste, legate in vario modo all’amico Sargent.
Anche quest’ultimo ritrae Elizabeth, assieme alla sorella Ena, un anno prima di Boldini. Nel mirabile dipinto ora alla Tate Gallery di Londra, l’immagine delle due ragazze denota un carattere robusto, concreto, preciso, anche se in una posa molto informale a sottolineare il forte legame di amicizia stabilito dal pittore con tutta la loro famiglia d’origine. La figura di Boldini, benché rifletta la stessa eleganza di quella dell’americano, gode di un eccezionale vigore e di una libertà di invenzione restituiti dalla sua virtuosissima mobilità di mano. Il quadro presenta un ulteriore carattere spiccatamente sargentiano che risalta chiaramente al confronto con un altro ritratto di gruppo, quello delle sorelle Wyndham del Metropolitan Museum of Art di New York. Sebbene Mrs Adeane Wyndham ed Elizabeth Wertheimer siano due tipi di donne diversissimi nel volto e nel sorriso, mostrano una somiglianza sorprendente nella posa e nella fattura del braccio piegato in un certo modo, memore e a sua volta affine al gesto di Mrs Hunter nel dipinto che la raffigura ora a Londra.
Il soggiorno londinese è finalizzato ad allacciare nuove conoscenze, portatrici di nuove commissioni per l’operosissimo Giovanni. Si vede con Madame Eugène Schneider, nata Antoinette de Saint-Saveur, nipote del marchese di Biron, suo amico e suo fine estimatore. La signora è già stata raffigurata una prima volta con un elegantissimo abito nero e un particolare del suo volto è pubblicato sulla prestigiosa rivista “Le Modes”, a seguito della sua presentazione all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Nel 1903 il ferrarese si misura nuovamente con il ritratto a figura intera della donna, in posa insieme a uno dei figli, in cui le qualità luminose e il tocco felicissimo sono inconfondibilmente boldiniani. “Boldini vuole stupire sé stesso – scrive la Cardona – la signora in piedi, in un abito da sera che si intravede sotto il grande mantello di velluto paonazzo ornato di ermellino, tiene stretto il figlioletto vestito come un principe, coll’abitino di velluto, il collo di pizzo su cui cadono i capelli biondi come quelli di un infante di Velázquez, e i calzini audacemente rossi nelle scarpine nere. Le calzine del bambino sono la nota che lega, pittoricamente, le due figure: quel tocco caldo va a riallacciarsi al rosso del mantello. Madre e figlio, in quei loro abiti sontuosi, segno del tempo e del loro rango sociale ed economico, non stanno in posa: il bambino sembra sul punto di sfuggire dalla stretta della madre, e questa pare voler muoversi nel gesto di trattenere il bambino. Dipingere due figure così, e dipingerle quasi afferrandole, è la battaglia che Boldini dà a sé stesso e che vince. […] La vita di questa tela è allucinante e basterebbe da sola a caratterizzare tutta l’arte di Boldini e tutta un’epoca”.
Molto vicina per concezione a questi dipinti è l’effigie del pittore inglese Lawrence Alexander “Peter” Harrison, in stretta confidenza con Sargent e marito della grande amica di quest’ultimo, Alma Strettell, poetessa e traduttrice inglese, entrambi da lui raffigurati più volte. Il ritratto di Boldini mostra una spiccata unità di intenti con quello dell’aristocratico scozzese Lord Dalhousie dipinto da Sargent intorno al 1900. Vi predomina la medesima eleganza disinvolta e l’estrema grazia, rafforzata in Boldini dall’ammirazione per il pittore settecentesco Thomas Gainsborough, ma la sua figura ha un senso del movimento più sciolto nelle curve sottili e delicate del corpo, sollecitate con mezzi inusitati, rapidi e personalissimi.
L’aver individuato una missiva di Sargent inviata a Mary Hunter in questi anni ci permette di essere informati riguardo a un invito rivolto dallo stesso, insieme a “Peter” Harrison, a Boldini per discutere dell’esecuzione di un ritratto, la cui riuscita sembra soddisfare le loro aspettative. Il fatto di essere recapitata a Mrs Hunter sottolinea in maniera convincente – se mai ce ne fosse ancora bisogno – quanto da noi fin qui asserito: l’intesa e i vincoli strettissimi esistenti tra questi personaggi nel comune interesse per tutti gli aspetti dell’arte del momento. E ancora in un’altra del 18 dicembre 1903 mandata da Boldini alla Hunter è di nuovo menzionato l’amico Sargent che lo aveva avvertito del breve passaggio a Londra della signora. Giovanni le riferisce inoltre con precisione i prezzi di vendita dei suoi dipinti.
Le opere sinora analizzate fanno parte di una produzione dell’artista sempre più orientata verso l’eccezionale singolarità della composizione, accompagnata a una leggera nota di stupore che affascina, e la speciale qualità della pittura, velocemente e audacemente condotta con grande sicurezza di mestiere.
In un ambito così variegato di relazioni si inserisce molto persuasivamente un ulteriore e favorevole incontro per Boldini, quello con il commerciante d’arte irlandese Hugh Lane, capace di riportare esplicitamente al nome dell’americano e in relazione a sua volta con Mary Hunter. Lane è un personaggio di grande rilievo nella cultura dell’epoca: la sua ricca collezione di opere confluisce nella City Gallery di Dublino, da lui inaugurata nel 1908, con l’intenzione di far conoscere approfonditamente l’arte contemporanea ai suoi connazionali. Mary Hunter tiene un’intensa corrispondenza con lui, dimostrando di essere molto partecipe dell’iniziativa e complimentandosi perché era riuscito con costanza a raccogliere così tante opere a supporto del suo ambizioso proposito.
Sin dal 1904 un primo nucleo di dipinti viene esposto nei locali del National Museum of Ireland. Anche i membri della House of Commons riconoscono l’eccellente operato di Lane soprattutto a seguito del successo decretato dalla Winter Exhibition of Old Masters da lui organizzata nel 1903 a Dublino. Si mostrano perciò solleciti a coinvolgere nel progetto gli artisti viventi più in vista, quali Sargent, James Jabusa Shannon, John Lavery, Nathaniel Hone e William Orpen affinché giungano a condividere il grandioso obiettivo. Nella prefazione al catalogo della City Gallery nel dicembre 1907 Hugh scriverà di essersi tanto impegnato negli acquisti per fare di questa galleria la più ampia rappresentazione dei più grandi maestri del XIX secolo”.
Nel copioso carteggio di Lane si presenta per noi particolarmente interessante il rinvenimento della lettera del 28 ottobre 1904, attestante in modo circostanziato il contatto diretto e inedito fra lui e Boldini.
L’impegno programmatico di Lane non può prescindere dall’interesse per i lavori di Boldini e si prodiga per procurarsi un dipinto che per il suo significato lirico aiuti a intendere la sua complessa ed eccezionale individualità: il Ritratto di James Abbott McNeill Whistler. Boldini, onorato dalla richiesta e dalla possibilità di destinare il suo dipinto al museo di Dublino, propone una cifra di milleseicento sterline ricordando come in genere fosse orientato a chiederne duemila e come l’offerta del museo di Filadelfia non fosse giunta a persuaderlo. Non ci è dato sapere il motivo per il quale la trattativa non ha avuto esito alcuno e la tela, ceduta prima a Paul Helleu, tramite l’intercessione di Sargent viene poi comperata per il Brooklyn Museum.
Il magnifico Ritratto di James Abbott McNeill Whistler è presentato una prima volta a Parigi nel 1900 all’Esposizione Universale e poi riproposto a Londra alla Sedicesima Esposizione Estiva della New Gallery nel 1903: nella recensione sul “The Art Journal”, la più prestigiosa rivista d’arte di quegli anni, è descritto con parole di grande ammirazione: “una delle più stupefacenti ‘performance’ in pittura è il n. 271. Non fa rimpiangere l’assenza di Sargent all’esposizione. I visitatori non hanno bisogno di far riferimento al catalogo per riconoscere Mr James McNeill Whistler – agitato, sprezzante e insieme fantastico. Il dipinto, datato 1897, ed esibito al Salon, nasce dal pennello di M. Jean Boldini. […] Nessun artista avrebbe osato ritrarre Mr Whistler, il coraggio di Boldini è stato ripagato, con un ritratto stupefacente. È stato mosso da una veemenza che spazza via tutto quello che c’è stato prima. È difficile concepire destrezza, concisione, audacia di questo tipo, portate a un livello così estremo. C’è una sola nota di colore, la decorazione rossa indicativa dell’onore francese accordato a Mr Whistler. La sedia è grigia, la spalliera marrone, tutto il resto è bianco e nero. La massa di riccioli scuri cade sulla fronte, i baffi sono forti, la posa è vera come si conviene. Due dettagli in particolare risultano straordinari: il modo di rendere il monocolo senza sforzo nell’occhio destro e il cilindro. Qualcun altro artista può competere con la supremazia di Boldini come ritrattista in un modo così sorprendente?”, conclude con trasporto il recensore.
Il pregio del dipinto è riconosciuto anche da Mrs Hunter in visita alla mostra: “Sono molto contento che il ritratto di Whistler vi sia piaciuto”, scrive infatti lusingato il pittore nella missiva inviatale a maggio.
A questo primo tentativo di Boldini di imporsi definitivamente sulla scena inglese, segue quindi una successiva opportunità, determinata dal rapporto con Lane dell’anno seguente, che estende l’attenzione anche all’Irlanda.
Secondo la recensione da noi ritrovata, il dipinto è mostrato in seguito, nel maggio del 1908, a Parigi, al Palais du Domaine de Bagatelle della Société Nationale des Beaux-Arts dove è ammirato più degli altri lavori esposti “per la vistosa destrezza di Boldini nella realizzazione della ‘mephistofelica’ rappresentazione di Whistler”, ponendo l’accento su quella bellezza quasi “demoniaca”nella prepotenza realistica della fisionomia e del temperamento dell’arguto personaggio.
Le segnalazioni qui proposte, riferite alla partecipazione a due importantissime esposizioni coeve, finora poco esaminate, aggiungono un determinante punto fermo nella storia della tela. Rimarcano inoltre l’intonazione dei giudizi frequentemente espressi in quel periodo riguardo al pittore, mettendo in evidenza la forte singolarità del suo operato e l’effetto che suscita fra gli esperti i quali “bene o male non possono non parlare di lui”. Boldini, tuttavia, non ha mai dato molto seguito a quanto sostenuto dai critici e dai giornalisti e come riferisce la Cardona: “spulciando i suoi archivi, abbiamo trovato pochi ritagli di giornali e quasi tutti ancora nelle loro buste, non letti”.
Una piena adesione agli stilemi boldiniani è manifestata dal cultore contemporaneo Camille Mauclair, il quale nel mirabile saggio del 1905 scrive come il ritratto di Whistler eseguito da Boldini “è il solo che sia mai stato degno di questo grande uomo. Le altre effigi di Boldini sono state fatte per l’amore della pittura ma questo era per l’amore di Whistler ed è semplicemente uno dei capolavori dell’arte moderna. È il documento più inestimabile riguardante Whistler: e decisivo per comprendere Boldini”. Il dipinto è ricordato ancora nel 1911, in confronto al Ritratto del duca di Wemyss dell’amico Sargent esposto a Roma: “Pochi ritratti moderni, e forse solo il Whistler di Boldini, può competere con questo nell’impressione di quel fremito di vita che traspare da una tela come dalla carne umana”.
Nonostante la continua attenzione manifestata sin qui dagli studiosi, l’intento di definire le vicende che portano all’esecuzione dell’opera, ai tempi e alle circostanze del primo incontro tra Boldini e Whistler non ha ancora trovato soluzione. In una delle ultime monografie dedicate al pittore statunitense si specifica che alla data del 1897, quando il dipinto fu realizzato, i due si conoscevano “solo da pochi anni”. In effetti le datazioni più antiche e più certe sinora documentate riguardanti la prima relazione tra i due artisti, seppur indiretta, risalgono al 1890 e al 1891 e coinvolgono Robert de Montesquiou come mittente di un paio di lettere. Nella prima, del novembre 1890, Montesquiou fa riferimento a un’opera a lui donata da Boldini, ancora inedita e non identificata, rappresentante qualcosa da riferirsi a Whistler; la seconda, del 13 febbraio 1891, è un invito di Montesquiou a Whistler a cominciare il suo ritratto, in quanto già possessore di un’effigie di Whistler eseguita da Boldini.
Nel 1894 poi, Boldini lo invita a partecipare alla Prima Biennale di Venezia per l’anno successivo. Gli scambi epistolari con il presidente della rassegna Riccardo Selvatico, a tal riguardo, mostrano una certa confidenza di Boldini con l’americano, dando sicura conferma dei primi anni novanta come datazione più convincente alla quale ricondurre l’eventuale iniziale incontro.
Il rapporto fra i due pittori rimane comunque alquanto controverso e sfaccettato nel corso del tempo: l’americano accetta di posare per Boldini, ammirando infatti lo stile della sua pittura che rimanda a grandi maestri del passato, Frans Hals, Diego Velázquez e Francisco Goya, ma gli imputa, come a Sargent, una esagerata spavalderia di mano. Non risulta perciò pienamente soddisfatto dell’opera, pensa di apparirvi “crudo” più di quanto non sia nei suoi atteggiamenti più burberi. Boldini lo rappresenta infatti fedelmente, con l’evidenza della sua età, con il volto magro e scuro contornato dai baffi grigi che si confondono con i capelli dello stesso colore.
E nonostante la tela sia stata poi l’eccezionale attrazione della New Gallery nel 1903 e fosse prossima a partire per l’America, alla sua vista Whistler non risparmia un giudizio caustico: “Sì, audacemente intelligente, ma grazie al Cielo, non è un mio ritratto!”.
Queste contraddizioni non impediscono all’americano di sostenere l’invio del dipinto alla Prima Esposizione dell’International Society of Sculptors, Painters & Gravers a Londra nel 1898, anche se Boldini, non ritenendolo completo nel complesso e nei suoi particolari, decide di non esporlo. Partecipa invece alla rassegna itinerante negli Sta- ti Uniti organizzata nell’autunno del 1903 dalla stessa International Society, per la quale Whistler nutre grande interesse, rafforzato anche a seguito della convocazione da parte delle principali accademie e istituzioni d’arte americane.
Il dipinto viene poi domandato in prestito nel 1899 dalla prestigiosa Society of Portrait Painters, fondata a Londra nel 1891 da quegli artisti poco propensi ad accettare i criteri di selezione delle opere da esporre alle mostre periodiche da parte della Royal Academy of Arts. L’istituzione è caratterizzata fin da subito per una spiccata apertura di stampo internazionale e predilige le maggiori e avanzate istanze della ritrattistica contemporanea, favorendo di volta in volta gli specialisti più operosi presenti in Europa.
L’invito non ha l’esito sperato dall’organizzazione poiché – come risulta dai registri di quest’ultima da noi analizzati – Boldini rifiuta di partecipare alla mostra prevista tra gennaio e febbraio presso la Grafton Gallery. Si può presumere che non fosse ancora soddisfatto del dipinto, ma la scelta di richiederlo evidenzia una vera e propria dichiarazione di apprezzamento della società, dove l’artista aveva già esposto tra gli altri, alcuni lodevoli ritratti, quello del compositore Giuseppe Verdi, oggi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, nel 1892 e il Ritratto del piccolo Subercaseaux, conservato al Museo Giovanni Boldini di Ferrara, l’anno dopo, suscitando sempre consensi per l’originalità e la peculiarità del suo operato.
Per altre due volte si insiste nel richiedere la tela: Lavery nella riunione del 2 ottobre 1900 propone di far inviare direttamente da Parigi, per conto del sodalizio e tramite Pierre Dumont, che tra ottobre e novembre si troverà in quella città, almeno sei dipinti di artisti francesi per l’imminenza dell’esposizione. Fra questi compare il nome di Boldini, con la segnalazione del “Ritratto di Whistler”, insieme a quello di Claude Monet e altri.
Dal comitato della società viene fatto un ulteriore tentativo per la mostra di novembre del 1901 alla New Gallery: già il 3 ottobre Boldini viene sollecitato ad aderire. Nei documenti delle riunioni del consiglio non si ha tuttavia nessuna indicazione specifica sul dipinto desiderato. La lettera datata 9 ottobre del segretario Hugh de Twenebrokers Glazebrook riporta invece l’esplicita richiesta del “mirabile ritratto di Mr. Whistler”. Ma il pittore non è convinto nemmeno questa volta: nella lista dei lavori inviati dai partecipanti del 5 novembre 1901 non c’è infatti alcuna menzione del suo nome.
Altre circostanze che possono far pensare a un incontro di Boldini con Whistler provengono dai ricordi del pittore francese Jacques-Émile Blanche. L’artista rammenta quando a Londra con Helleu e il ferrarese andò a bussare alla porta dello studio di Whistler in Tate Street perché intenzionato ad avvicinarlo. Blanche riporta questa notizia più volte nei suoi scritti, inducendoci a valutarne la veridicità, ma la scarsa precisione non conduce all’individuazione del momento certo dell’incontro. Pure mettendo a confronto le varie opere critiche di Blanche non si arriva a circoscrivere inequivocabilmente un periodo. Tuttavia, l’informazione è importante per sottolineare ancora quella comunione di intenti e l’ammirazione rivolta al pittore americano.
Gli artisti dell’epoca si entusiasmano soprattutto per il segno intenso e nervoso della sua pittura, diverso da quello raffinato e preciso di John Singer Sargent, ugualmente gradito, ma anche per le forme della ritrattistica monumentale di stampo settecentesco rinnovata con vigore da John Lavery, per l’accuratezza delle sue invenzioni accompagnate sempre da una ricercata concordanza nelle scelte cromatiche, suggerita dai titoli di molte opere, che enfatizzano come composizione e colore siano ciò che più conta in pittura. E già la critica coeva ne comprende la particolarità: “Al colore egli riuscì a dare una speciale funzione di musicalità, e tali furono le armonie, che ne ritrasse da far vibrare le note più alte del sentimento in accordi melodiosissimi”, così infatti ne parla appropriatamente il Paralupi.
Lane ha una seconda possibilità per tentare di acquisire un dipinto di Boldini, e lo fa tramite la sollecitazione di quello appartenente a José Tomás Errázuriz. Così risulta dalla missiva di quest’ultimo, datata 1° aprile 1906, dalla residenza di Londra, in risposta alla supplica del collezionista irlandese “di prestargli il suo ritratto di Boldini”. Si tratta sicuramente dell’effigie della moglie Eugenia Huici Arguedas, eseguita nel 1892, abbinata in origine a quella della giovane figlia della coppia, Carmen. I due lavori sono esposti in quell’anno al Salon du Champs-de-Mars a Parigi, ma accolti con misurata approvazione dagli addetti ai lavori.
Alcune considerazioni critiche ci inducono ragionevolmente a sostenere la validità di queste nostre puntuali valutazioni, consentendoci di raccogliere intorno a queste qualcosa di più complesso e articolato.
José Tomás Errázuriz fa parte di una ricca casata cilena, proprietaria di prospere miniere di rame; diplomatico, collezionista e pittore egli stesso, sposa nel 1879 Eugenia Huici Arguedas, donna di raffinata bellezza, fortemente interessata alle manifestazioni artistiche del tempo. Entrambi apprezzano la cultura europea e, nei continui spostamenti tra Londra e Parigi, Eugenia ama circondarsi delle personalità più in vista dell’epoca: “la belle Madame Errazuriz, como se la llamò. Amiga inspiradora de tantos grandes hombres, en sus tertulias de Paris se encontraban Decourt, Leys, Nelson, todos ellos afamados decoradores, con los pintores en boga, Sargent, Boldini, Sert, Helleu, Blanche y Picasso, con Granados, con Strawinsky. Era un centro de artistas, en el que se pasaban momentos inolvidables”, ricordano i suoi estimatori.
La lettera di José Tomás Errázuriz rivela un aspetto determinante per supportare l’identificazione certa e inequivocabile delle sue congiunte nei ritratti del 1892 ed evidenzia il fatto non certo trascurabile che possedesse un dipinto eseguito da Boldini. Nei repertori dell’opera boldiniana, così come nel catalogo del Salon del 1892, le due donne sono approssimativamente indicate con l’appellativo di “M.me Errázuriz” e “M.lle Errázuriz”, non consentendo il loro riconoscimento decisivo e lasciando aperta la possibilità di essere scambiate con altre componenti della famiglia, prime fra tutte Josephina Alvear de Errázuriz e sua figlia Josephina Alvear de Gomez, chiamate in genere allo stesso modo. Ma Josephina è la moglie del diplomatico cileno Matias Errázuriz Ortúzar, ambasciatore a Parigi, cugino di José, sposato solo nell’aprile del 1897, quindi qualche anno dopo l’esecuzione del dipinto proposto a Parigi e reclamato da Lane. I ritratti di Josephina e di sua figlia realizzati da Boldini sono necessariamente più tardi e vengono presentati in coppia nel 1910, sebbene diversi nel formato. Nel 1912 il pittore raffigura la sola signora, ripresa in una diversa posizione, ma capace di mantenersi fede- le all’originaria ispirazione del primo dipinto. Appartengono quindi agli anni in cui Josephina è diventata effettivamente Madame Errázuriz e si distinguono da qualsiasi altro risultando difficilmente confondibili con i ritratti del 1892, riproducenti ovviamente altri personaggi.
Una deduzione questa, dalla quale deriva il nostro convincimento che di quei dipinti solo uno entra a far parte della collezione personale di José Tomás Errázuriz, quello della consorte. L’altro, rappresentante la figlia, continua a permanere nel- lo studio di Boldini, muovendo il pittore a lasciarci una seconda immagine della signora – in effetti presente nel catalogo delle opere – volta a ricostituire l’unità della coppia. E saranno questi due ultimi a essere successivamente comprati dal barone Maurice de Rothschild: appaiono già appartenenti a lui nella grande esposizione di New York del 1933 insieme a tutti gli altri della sua collezione e sono presenti nella vendita all’asta del 1995 di quindici preziosi dipinti della sua prestigiosa raccolta.
Probabilmente il clamore suscitato dall’esibizione dei due dipinti a Parigi porta José a non acquistarli entrambi ma a preferire quello raffigurante la sola Eugenia. Ed è questo a far da modello per Boldini nel compimento della replica, terminata con maggiori accortezze e arricchita di ulteriori espedienti compositivi, tali da spiegare le differenze esistenti tra loro, senza compromettere tuttavia l’autentica freschezza dell’opera.
In un contesto così singolare le riproduzioni pubblicate nel catalogo della rassegna parigina del 1892 arrivano indubbiamente ad avere un nuovo significato per noi, concorrendo a delineare ulteriormente l’identificazione sicura delle due donne ma soprattutto a rendere certa l’individuazione dell’iniziale ritratto di Eugenia, quello che rimane di proprietà della famiglia.
A conferma di tale ricostruzione giunge anche la testimonianza del pianista Arthur Rubinstein, intimo amico di Madame Errázuriz, il quale, in visita presso la sua abitazione londinese di Chelsea nel 1915, ricorda un Boldini appeso alla parete vicino al ritratto della donna realizzato da John Singer Sargent.
Il primo dipinto, ancora posseduto dagli Errázuriz, è menzionato frequentemente dai discendenti nel corso del tempo: Mariana Errázuriz Braun, pronipote di Eugenia, ricorda infatti in più occasioni come la zia Hester Mary Ogilvie-Grant Errázuriz, cioè la figlia di Carmen Errázuriz, avesse vari lavori di Picasso e insieme un prezioso Boldini. Tutto questo trova riscontro anche nella testimonianza del fotografo Cecil Beaton, il quale recatosi nella casa di Eugenia a Parigi negli anni trenta constata- va l’immutato fascino della signora sebbene molto avanti con l’età, lasciando immaginare quanto fosse stata bella quando la raffigurarono Helleu, Sargent, Boldini e altri artisti all’inizio del secolo.
Intorno ai due dipinti esposti al Salon parigino sorge di fatto un certo interesse e un acceso dibattito fomentato dai critici contemporanei. Nelle pagine de “L’Artiste” essi sono accompagnati da parole non troppo accattivanti – indirizzate all’estrema raffinatezza delle figure femminili ma soprattutto alla posa scomposta, audace e conturbante della giovinetta–, proprie di quell’atteggiamento reiterato verso la produzione boldiniana degli anni compresi tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento per la quale si tira frequentemente in ballo l’intento “scandaloso”. Questo avviene poiché non si recepiscono appieno i suoi raggiungimenti artistici e non si capisce come possa aver mirato fin da subito a una via sua propria, differente da quelle percorse da altri innovatori più facilmente comprensibili.
Ciò non impedisce tuttavia l’apprezzamento per l’adeguatezza del suo linguaggio e per la resa veritiera delle sue figure, e Lane, più attento ai contenuti pittorici e all’espressione individuale, richiede il prestito temporaneo del ritratto femminile da inserire nel percorso pensato per la galleria dublinese. In quell’occasione, Errázuriz si dispiace moltissimo di non poter rispondere al suo cortese appello e per ragioni personali non si spende per offrire il dipinto.
L’attualità dei ritratti boldiniani di questi anni è comunque indiscussa e persuasiva, anche se il pensiero di Mauclair, che nota una sottilissima diversità fra la maggior efficacia di quelli maschili rispetto alle immagini di donne, più influenzate dalle frivolezze dovute all’incostanza della moda, persiste ancora a seguito di una esposizione successiva, quella del Salon parigino del 1913. “[…] Quest’anno dopo aver visitato il Salon della Società Nazionale, si constata che perfino le opere di vari di questi artisti che il pubblico suole prediligere interessano meno del consueto”, scrive il Sarti e poi con serietà aggiunge: “Ma rimangono, come ho detto, i ritratti di Boldini e le tele di qualche altro grande maestro. Boldini ha esposto un ritratto di signore ed uno di signora: il primo è d’una sorprendente espressività, il secondo manca di questo carattere che io ritengo essenziale ma è d’un’eleganza e d’un’originalità mirabili”.
E afferma pure, secondo il pensiero corrente: “Come sempre, le sue tele sono assai discusse, assai criticate, ma costituiscono uno dei […] clous dell’Esposizione”.
Le circostanze addotte fin qui sono di non poco interesse per definire in che modo Boldini sia giunto alla prestigiosa commissione e come tutto concorra verso il nome di Sargent quale tramite per la stessa, ed è per questo motivo che Lane agisce con sicurezza nella pretesa del ritratto ideato da Boldini.
L’incontro di Eugenia con Sargent avviene verosimilmente nel corso del suo viaggio di nozze in Europa nel 1880, quando si ferma a Venezia per far visita a Ramón Subercaseaux, cognato di José. Ramón, poi console cileno a Parigi, è un talentuoso artista recatosi in quella città per studiare ed è amico dell’americano, impegnato a lavorare a Palazzo Rezzonico. È lo stesso Ramón a ricordare come in Europa i due fossero strettamente legati e che si erano successivamente ritrovati a Venezia, dove amavano passeggiare lungo i canali alla scoperta della città, sempre pronti ad annotare le osservazioni sulle loro piacevoli escursioni artistiche. A Venezia Sargent ritrae l’amico in una piccola effigie e lo rappresenta una seconda volta all’aria aperta sulla gondola dondolante nella laguna.
Ramón e sua moglie Amalia Errázuriz sono perciò intimi di Sargent, che coinvolge nell’amicizia anche Boldini: il loro figlio Pedro nelle Memorias, rammenta come il padre era solito nominare abitualmente il suo vecchio amico Sargent. Ma l’unico artista che ricorda frequentare la loro casa durante la permanenza a Parigi, dove arrivano nel 1887, è Boldini. La relazione di quest’ultimo con i Subercaseaux è lunga e proficua a tal punto che, mentre realizza la doppia immagine di Pedro col fratello Luis, lavora anche a svariati dipinti riproducenti i vari membri del numeroso nucleo famigliare: la cugina Emiliana Concha de Ossa e sua sorella Elena, la zia Juana Browne de Subercaseaux, la nonna Magdalena Vicuña e il pastello della madre Amalia. Ancora dalla testimonianza di Ramón si apprende come Boldini nutrisse grande compiacimento per il ritratto dei suoi due giovani figli, tale da considerarlo come una delle cose migliori che avesse mai compiuto.
Il rapporto di Sargent con Eugenia perdura ininterrottamente negli anni, quando il pittore esegue diversi ritratti dell’affascinante amica. E da ciò derivano i rapporti lavorativi di Boldini con altri componenti della famiglia cilena, tutti patrocinati e promossi da Eugenia. Ne risultano opere con esiti non omogenei ma con un’ispirazione di fondo basata su eleganza, ricercatezza e brio.
Sicuramente l’incarico di raffigurare Josephina Alvear de Errázuriz e sua figlia viene affidato grazie alla mediazione di Sargent: è l’americano infatti a stabilire un primo contatto professionale con Matias, eseguendo il suo ritratto a carboncino insieme a quello di suo figlio Mato, a seguito dell’intervento diretto di Eugenia Huici Arguedas. La signora è anche consigliera di Matias nei lavori di sistemazione della sua residenza a Buenos Aires dove trovano la loro collocazione definitiva i ritratti boldiniani, dopo il decisivo ritorno di quest’ultimo in Argentina nel 1917: l’effigie della figlia Pepita nel vestibolo dalla preziosa boiserie accanto a quella del fratello Mato, eseguita da Joaquín Sorolla alla “maniera del Velázquez”, e quella della moglie nello studiolo, luogo privilegiato di solitudine e serenità, dipinto nel quale Boldini riesce a esprimere mirabilmente tutta l’ammirazione e l’affetto provato per la donna. “Boldini e Sorolla: l’eleganza di fronte alla forza”, scrive Matias. L’enorme patrimonio della signora permette alla coppia di vivere agiatamente, di viaggiare in Europa e conoscere facoltose personalità e rinomati artisti: Rodin, Sorolla, Sargent, Paolo Troubetzkoy e Boldini, che esegue cinque magnifici ritratti.
L’artista raffigura anche la signora Juanita Edwards de Gandarillas, moglie del diplomatico José Antonio Gandarillas, nipote di Eugenia. Sono i due coniugi a ospitare Eugenia nella lussuosa dimora di Chelsea, fino a quando lei si trasferisce a Parigi nel 1916. Ed è ancora Rubinstein a ricordare la visita dei tre nello studio di Sargent, situato nella stessa strada, ma soprattutto la stima dell’americano per Eugenia alla quale riconosce lo straordinario gusto per l’arte, la letteratura, la musica e per la cura della decorazione degli interni. Boldini esegue il ritratto di Juanita, “una bella e molto elegante giovane dama” vicina alla figlia Marie Rose nel 1914: realizzato in parte forse a Parigi e poi a Londra, dove il pittore si trasferisce di nuovo, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale.
La colonia “chilena fue acrecentándose en París considerablemente y en lo salones de nuestra legación en la rue Washington lucían hermosas y elegantes damas de nuestra aristocracia”, ricorda Balmaceda Valdes. “Por aquellos años Boldini, el pintor preferido de la aristocracia, pintaba los retratos de doña Juana Browne de Subercaseaux, de Elena y Emiliana Concha, de doña Amelia Errázuriz de Subercaseaux y de sus hijos” e anche quello di Eugenia Huici de Errázuriz, “la belle chilienne”, ancor prima che fosse confuso con quello di Josephina Alvear de Errázuriz.
Eugenia introduce il pittore presso altri suoi facoltosi conoscenti quali la sua carissima amica Julia Elena Acevedo e il marito Miguel Alfredo Martínez de Hoz, allevatore argentino di pregiati cavalli di razza. Intorno al 1912 il ferrarese esegue l’immagine a figura intera dell’uomo e quella a mezzo busto della signora. Lei è molto impegnata in attività assistenziali ma è anche appassionata di giardinaggio e disegna il parco della magnifica residenza di Malal Hue in Chapadmalal. I coniugi sono grandi estimatori della cultura inglese e non è strano che chiamino l’architetto londinese Walter Basset Smith per costruire la loro casa in stile neogotico. Il castello diviene luogo di incontro di personalità internazionali. In un gruppo di fotografie poste nello studio in Malal Hue compare la riproduzione del dipinto di Boldini della signora Josephina Alvear de Errázuriz, a riconfermare i contatti e gli intrecci tra queste importanti famiglie dell’America del Sud, committenti dell’illustre pittore. Forse Boldini esegue anche il ritratto della figlia dei Martínez de Hoz, la vivace Maria Julia conosciuta da tutti come Nena.
L’influenza di Sargent è importante per l’opera di mediazione commerciale che svolge con dedizione nei confronti di Boldini ma anche perché veicola nei suoi dipinti la ricerca di quella maniera scintillante, di quell’ambizioso “far grande” – derivante a sua volta dall’attenzione per la lezione dei grandi artisti del passato – e dell’estrema eleganza, sebbene tradotte dal ferrarese con un fare del tutto proprio e individuale, consono agli artifici di una originalità prevaricante che rende unica ed esclusiva l’essenza dei suoi lavori.
Già gli studiosi dell’epoca sottolineano come il pittore fosse “affascinato dalla tecnica di John Singer Sargent” e anche la Cardona rammenta con puntualità: “Boldini amava e ammirava il talento di Sargent, sorrideva all’idea di abitare e di lavorare laddove il suo grande emulo aveva vissuto”.
In egual modo Sargent riconosce il valore di Boldini, l’acume con cui analizza i modelli, tanto da collezionare alcune sue opere. Jacques-Émile Blanche ricorda la visita allo studio dell’americano a Londra nei primi del Novecento, dove avrebbe notato sul muro, fra i suoi dipinti, quelli di molti artisti italiani: “de toiles de Mancini, de Boldini, de Morelli”. Dal catalogo di vendita della collezione di Sargent del 1925, risulta sicuramente di sua proprietà quello dal titolo Confidenze del 1872.
A Venezia Sargent incontra probabilmente per la prima volta il pittore suo compatriota James Abbott McNeill Whistler, presente tra il settembre del 1879 e il novembre del 1880 per il soggiorno finanziato dalla Fine Art Society di Londra finalizzato all’esecuzione di numerose incisioni riproducenti i luoghi più suggestivi della città. Nella città veneta i due condividono amicizie comuni, consuetudine verificatasi poi anche a Londra e a Parigi. Whistler a Venezia accoglie regolarmente le coppie di ricchi inglesi e americani, stabilitisi in città provvisoriamente o in via definitiva. La familiarità tra i due favorisce anche quella di Eugenia Huici con Whistler, con cui aveva in comune la passione per il Cile, visitato da quest’ultimo tra il 1865 e il 1866. Tale rapporto risulta consolidato dopo il trasferimento di entrambi a Londra, nei primi anni del Novecento, vicini di casa nella zona di Chelsea. Ed è verosimile pensare come Whistler, per il ricevimento organizzato in suo onore a Londra, avesse offerto in omaggio alla padrona di casa il dipinto raffigurante la veduta della baia di Valparaíso.
Secondo quanto avanzato da Pereira Salas, infatti, la Huici aveva un dipinto di Whistler con il panorama sul porto di quella località. È sua nipote, Josephina Alvear de Gomez, assidua frequentatrice dell’abitazione parigina della zia, a tramandare direttamente la notizia a Pereira Salas, poi riportata con scrupolo nel suo studio critico sulla storia della pittura cilena.
Tutto questo interessa al nostro scopo per evidenziare il nesso proficuo tra artisti e committenti ma soprattutto per ribadire – quasi con certezza – come Boldini non fosse a Venezia insieme a Sargent, contravvenendo a quanto sostenuto dal vecchio biografo dell’americano, Charles Merril Mount. È infatti improbabile che soggiornasse presso la laguna in quel periodo e non avesse rapporti con i nuovi amici di Sargent, cioè Whistler e Eugenia Huici, conosciuti invece in momenti diversi. Secondo Mount, mentre Sargent esegue i lavori in Palazzo Rezzonico, prende uno studio al piano superiore dello stesso stabile e vi trova alloggiato pure Boldini, il quale compie un piccolo ritratto del pittore americano. Tale affermazione non ha mai trovato un seguito attendibile nella critica più recente e oggi siamo in grado di confutarla a seguito delle nostre nuove considerazioni.
I ritratti di Eugenia, come quello di Carmen, di Josephina Alvear de Errázuriz e di sua figlia Josephina, di Juanita Edwards de Gandarillas e di Julia Elena Acevedo sono pervasi da un’eleganza eccezionale e resi da un virtuosissimo tratto veloce e autentico presente da cima a fondo sulle tele. La pennellata rapida è il segno della maestria del pittore e della dedizione nella preparazione dell’opera in cui nulla è improvvisato o abbandonato al caso, diventando quasi l’impronta distintiva volta a rendere vive le figure permeate dall’instabilità del movimento senza mai tentare di frenarla o bloccarla, ma lasciandola costantemente tale e ben evidente.
La torsione del dorso di Eugenia insieme alla volontà espressa di alzarsi dalla poltrona, la posa ardita della figlia, la leggerezza e le movenze eleganti di Josephina e la suggestiva azione della figlia che vivifica anche il suo sguardo sembrano contribuire a prolungare i gesti e i movimenti nell’ambiente circostante dove predomina la ricerca della loro vitalità e la gioia di accrescere quegli attimi vissuti con fervore. Un modo che nel corso degli anni a venire troverà la sua più vistosa manifestazione nella ricchissima serie di successivi ritratti femminili, ottenuto con segni ancora più dinamici e immediati, con linee convulse e frementi. “Per Boldini non si trattava di una ‘ricerca’ psicologico-formale, né dell’applicazione di un canone teorico, guai a pensarlo: era la fonte più spontanea della sua personalità artistica che si esprimeva in questi lanci, grovigli, picchiate, tratteggi sismici, tensioni ed esplosioni, con una forza di vitalità istantanea che da una sensualità ottica e fisica adunca, intensamente aggressiva trapassa, spesso, in un’ardente felicità animale”. Questo è ciò che scrive con estrema intelligenza Carlo Ludovico Ragghianti nel 1963, in occasione della mostra di Boldini a Ferrara, quando finalmente si arriva alla piena e condivisa comprensione del suo operato e al conseguente riconoscimento di tutto il suo valore e della sua celebrità.
Quello che egli vive e sente lo riporta appassionatamente sulla tela, non dimenticando le sue radici e come vi sia giunto: la grande tradizione italiana, ferrarese e fiorentina, e tutti quegli artisti che veramente contano direttamente o indirettamente nella sua più genuina formazione, conosciuti personalmente, o tramite i viaggi d’istruzione e nei musei. L’olandese Frans Hals, possente ed espressivo, lo spagnolo Diego Velázquez, così attento alla realtà e all’eleganza, l’inglese Thomas Gainsborough, raffinato e aristocratico, i contemporanei americani Sargent e Whistler e i francesi Edgar Degas e Édouard Manet. E di tutto questo ne fa un composto esplosivo, unico, attuale e di carattere internazionale.
“Aveva superato la tecnica per poter cogliere senza preoccupazioni o durezze l’essenziale di ciò che voleva dipingere” e la superficialità che a volte la critica più antica gli imputava “corrisponde all’ingannevole aisance del grande violinista che esegue senza scomporsi i ‘passi’ più spaventosi di una suonata, ma migliaia di ore di duro sacrificio lo sorreggono e lo proteggono alle spalle”.
Per insistere ancora intorno all’attività del pittore nei primi anni del Novecento ci soffermiamo sul ritorno a Londra nell’aprile del 1903, dopo esservisi recato anche a febbraio. L’ambiente è diventato ormai familiare, vista la continua frequentazione dell’entourage legato a Sargent. Qui riallaccia tanti rapporti interpersonali, incontra nuovamente Mary Hunter, che lo ricontatterà pure nel luglio successivo per un invito a cena, e prende parte alla rigogliosa vivacità artistica della città. Aprile è un mese molto propizio per le gallerie d’arte. A parte le due grandi mostre dell’anno, quella della Royal Academy of Arts e l’altra alla New Gallery, vengono aperte una gran moltitudine di esposizioni più o meno rilevanti. “Nature at this season is prodigal of her gift; the output of ‘art’ is prodigality in excess”, scrivono i critici sulle pagine di “The Art Journal”.
Lo stesso mese partecipa, come già detto, alla Sedicesima Mostra Estiva della New Gallery, dove presenta il citato Ritratto di James Abbott McNeill Whistler e forse anche il Ritratto di Lady Nanne Schrader. Quest’ultimo è ricordato in una lettera inviata al pittore da un amico londinese: “Ha attirato molte attenzioni lusinghiere”. E a tal proposito scrive: “Trovo sia un ritratto intelligente – i suoi occhi non parlano meno della sua bocca”. L’eco di questa esposizione è ancora vivissima l’anno seguente, quando conseguentemente alla presentazione del dipinto di Jacques-Émile Blanche nella stessa galleria, si rammenta come la sua audacia pittorica rimandi a quella del “Whistler di Boldini” della passata rassegna.
Nel medesimo periodo a Parigi si apre l’esibizione della Société Nationale des Beaux-Arts e Boldini si presenta con un altro ritratto: dalla recensione nella rivista “The Studio” lo identifichiamo, in questa sede, con quello del caricaturista Sem, graditissimo dal pubblico “per la forte individualità” dell’effigiato. Si tratta certamente della raffigurazione a mezzobusto eseguita nel 1901. In una missiva Oswald Birley lo informa infatti di aver ammirato a Parigi “il piccolo ritratto di Sem”. La stampa dà molto rilievo alla sezione dei ritratti esposti che annovera opere di Sargent, il Ritratto delle sorelle Hunter, John Lavery, Ritratto di signora in marrone, e Albert Besnard, Ritratto di Madame B. “La testa di Sem dipinta dal vero racchiude ciò che il nome del pittore significherà di più duraturo”, scrive il Mauclair, per sottolineare la capacità di Boldini di mantenersi sempre fedele con freschezza e spontaneità alla propria ispirazione. E lo stesso Sem in uno degli articoli commemorativi dell’amico Giovanni ricorda i tanti ritratti da lui eseguiti, primo fra tutti quello di Whistler, “il più bel ritratto della sua carriera”, e senza essere da meno “quello di Verdi, e oserei dire, il mio”, aggiunge con approvazione.
Londra e Parigi rappresentano d’altro canto in quest’epoca le capitali del ritratto moderno, Londra anche di più tra le due, e Boldini ha ormai raggiunto un grado di distinzione altissimo in tal genere, avendo cominciato a preferirlo a qualsiasi altro sin dal 1889 quando è riconosciuto “come un ritrattista di alto valore” alla Esposizione Universale di Parigi. Lui stesso ricorda questa scelta anche in una lettera al fratello Gaetano: “Prima di darmi ai ritratti facevo dei quadri di tutti i generi che sparivano facilmente perché avevo molto successo”.
La prima apparizione di Boldini nel panorama artistico londinese risale a molti anni addietro, in occasione dell’Esposizione Invernale alla Dudley
Gallery a Piccadilly nel 1870 dove propone tramite il mercante Joseph Hogarth di Grosvenor Square due opere: The Connoisseur e A Peep of Ferrara, come è stato possibile accertare dal reperimento del catalogo. I due lavori sono inviati direttamente da Firenze probabilmente grazie alla spinta di Michele Gordigiani che in quel periodo si trova a Londra. Giovanni si è avvicinato a Gordigiani, maestro più anziano, dopo il suo arrivo a Firenze frequentandone lo studio. Da lui riceve svariate commissioni, insieme alla possibilità di accostarsi al raffinato ambiente intellettuale inglese presente in città.
Se è vero che stabilirsi a Parigi è sempre stato per Boldini l’aspirazione più ambita, rapito dalla sua malia sin dall’iniziale soggiorno del 1867 durante la visita all’Esposizione Universale avendovi trascorso oltre mezzo secolo di vita e descrivendo- ne con fervore tutti gli aspetti – le piazze famose, i ritrovi notturni, i personaggi insoliti, le vie affollate, le personalità più in vista –, non disdegna di recarsi spesso a Londra, dove già dal suo più antico approdo, tra il 1870 e il 1871, si assicura ampio consenso per l’abilità nel ritrarre fra i tanti committenti immediatamente soddisfatti della sua attività.
In ottobre compare di nuovo sulla scena londinese esponendo ancora alla prestigiosa Society of Portrait Painters nella New Gallery. L’analisi degli inediti documenti d’archivio del sodalizio re- lativi a questo anno riserva delle informazioni preziose riguardo alla sua partecipazione: già dal 15 maggio nella riunione del consiglio della società, tenuta nello studio di Jonh Lavery, si decide di invitare Boldini a esporre le effigi di Mr e Mrs Lionel Phillips, ritenute adeguate alle caratteristiche che il comitato organizzatore intende imprimere alla mostra di quell’anno.
I due dipinti sono realizzati da Giovanni di- rettamente in Tylney Hall a Winchfield, residenza di campagna dei ritrattati, e non a Parigi come prospettato dalla storiografia più antica. Dal rinvenimento della lettera spedita il 3 gennaio a Mary Hunter si apprende infatti la genesi precisa del lavoro: “Sono qui da 15 giorni – scrive il pittore – per fare due grandi ritratti di Monsieur e Madame Phillips. Tra 8 o 10 giorni avrò finito e avrei molto piacere di rivedervi a Londra”.
Nel marzo successivo l’artigiano londinese C.M. May informa il pittore di aver recapitato a Phillips due cornici presso l’abitazione di Tylney Hall, dove la coppia di tele sarà posizionata nella sala da ballo. Svariate fotografie pubblicate in un raro opuscolo del 1909 consento- no di ammirare lo sfarzoso e curatissimo arredo dei vari ambienti della casa. L’affinità e la somiglianza con quello che fa da sfondo e da contorno nei due ritratti, in particolar modo nei diversi salotti, tra l’altro caratterizzati da pareti rivestite di pannelli intarsiati, sembrano non mostrare alcun dubbio sulla loro esecuzione in quei luoghi, avvalorando chiaramente quanto affermato dal pittore.
Phillips, ricco magnate dell’industria mineraria e uomo politico appartenente all’alta borghesia sudafricana stanziata in Inghilterra, nel 1885 prende in sposa Florence Ortlepp, figlia del naturalista Albert Frederick, sovrintendente al controllo dei territori di Colesberg. I due coniugi per lunghi periodi risiedono a Londra lasciando la loro residenza di campagna di Vergelegen a Città del Capo. Molto spesso durante gli spostamenti in Europa i movimenti della coppia non coincidono tra loro. Lionel a volte attraversa il canale da solo e anche sua moglie è solita recarsi frequentemente a Parigi per rinnovare il proprio guardaroba.
Dapprima Phillips si dichiara non disponibile al prestito dei lavori boldiniani per l’esposizione alla New Gallery ma poi decide di intervenire, rimarcando al presidente dell’associazione l’espresso desiderio di esporre il suo ritratto insieme a quello della moglie.
Il nome di Boldini è così presente nella lista completa degli iscritti all’esposizione con entrambe le tele e sin dal 9 ottobre il segretario Hugh de Twenebrokers Glazebrook spedisce gli inviti per il giorno di ricevimento delle opere, da mostrare poi a partire dal 31 del mese. A ogni artista partecipante è suggerito di segnalare lo spazio necessario per collocare al meglio i propri preziosi lavori.
Fino a ora era passata del tutto inosservata la presenza in mostra del Ritratto della signora Phillips, in coppia con quello del marito ed entrambi richiesti dagli artisti ai vertici del sodalizio. La dettagliata recensione relativa all’evento espositivo riportata su “The Art Journal” del novembre 1903, immediatamente prossima all’apertura della mostra, ricorda infatti il solo ritratto di Mr Phillips. Non stupisce che ciò sia accaduto poiché, secondo quanto recita con precisione l’aggiunta della nota in corsivo sulla lista dei lavori arrivati a destinazione, quello della signora sarebbe stato esposto solo a partire dal 16 novembre, riconfermando tuttavia con sicurezza la sua partecipazione.
“Signor Boldini’s Lionel Phillips, Esq., amazing clever, where in vivaciousness is carried to an extreme”, scrivono i critici su “The Art Journal”, mettendo l’accento sui ricercati virtuosismi boldiniani oltre che sulla mirabile resa fisiognomica dell’uomo, in un ritratto a figura intera tra i più riusciti fra quelli ideati dal pittore in questi anni.
In quello di Mrs Phillips, di eguale intensità espressiva, Boldini raffigura Florence già in età matura, esaltandone comunque la bellezza giunonica. Ripreso da un’angolazione piuttosto alta, mostra la donna seduta sul bordo di un morbido sofà e l’evidente torsione del busto ne accentua il raffinato e sinuoso movimento, sostenuto superbamente dall’elegantissimo e morbido abito nero.
Ciò che sorprende e incanta è soprattutto la resa improvvisa dell’effetto tattile e scattante delle stoffe, la ridotta materialità degli oggetti d’arredamento, sebbene evidenziati a segno tanto da sembrare veri, toccati con la medesima posa della mano delicatamente replicata in entrambe le figure, assieme al modo di riportare la luminosità diffusa tutt’attorno.
All’evento espositivo sono presenti, tra le altre, anche le opere di George Frederic Watts, Ritratto di Mrs Cavendish-Bentinck, di Albert Besnard, Ritratto di Madame Besnard e di Whistler, Rouge et noir. Quest’ultimo era membro onorario dal 1892, e allo stesso ruolo viene eletto John Singer Sargent.
La signora Phillips è coinvolta in molteplici iniziative benefiche ed è inoltre molto interessata all’arte moderna, esprimendo il desiderio di farla conoscere in Sudafrica. L’illuminante incontro con Hugh Lane tramite la scrittrice Caroline Grosvenor, nell’aprile del 1909 mentre si trova a Tylney Hall, porta alla concretizzazione del progetto di una grandiosa galleria d’arte a Johannesburg. Esperto del mestiere, Lane accoglie con entusiasmo l’invito e da Londra comincia a prodigarsi negli acquisti di opere dei protagonisti più vari e delle correnti contemporanee più innovative. La prima acquisizione riguarda tre dipinti di Wilson Steer esposti da Goupil. La galleria inaugurata nel 1910 è diretta da Lane per svariati anni.
Qui trova la definitiva collocazione il ritratto di Mr Lionel Phillips mentre quello della moglie è donato da lui alla City Gallery di Dublino nel 1909, dove permane tuttora.
Anche il pittore Antonio Mancini esegue l’effigie di Mrs Phillips, di sei anni più tarda rispetto a quella boldiniana, realizzata a Roma, dove Florence si reca con Lane, e anch’essa conservata nella Johannesburg Art Gallery. Hugh Lane è il mecenate di Mancini per il suo soggiorno in Irlanda nell’autunno del 1907, dopo averlo conosciuto a Londra tramite Sargent. Mancini e Boldini sono due degli artisti italiani più presenti in città nei primi anni del secolo ed espongono molte volte, quasi confrontandosi, alla Society of Portrait Painters, instaurando tra i critici un acceso dibattito sulla diversità della loro pittura.
Questi personaggi sembrano rimandare ancora all’ambiente sargentiano, sebbene non siano finora emersi legami diretti. Nulla ci vieta tuttavia di evidenziare, secondo il nostro sentire, delle deduzioni accettabili che giungano nondimeno a farci soprattutto riflettere e apprezzare l’evidente rilievo.
Le attività economiche di Phillips in Sudafrica incentrate sull’estrazione di minerali e metalli preziosi trovano seguito in altri ricchi imprenditori, tra cui maggiori compagnie finanziarie. La privilegiata posizione sociale acquisita nel tempo li spinge ad acquisire lussuose abitazioni in Inghilterra, arricchite di prestigiose collezioni d’arte. Beit è sostenuto in questa sua iniziativa dal mercante Rodolphe Kaan, anch’egli grande investitore in Africa ma residente stabilmente a Parigi. È qui che riesce a raccogliere numerosi dipinti per conto di Beit, che costituiscono un gruppo di opere stilisticamente diverse da collocare nella sua residenza in Park Lane.
Londra diventa sempre più il luogo di ritrovo di ricchi uomini d’affari e la dimora di Beit è il posto preferito intorno a cui gravita il gruppo di coloro che provengono della Germania: Edgar Speyer, Robert Mend, Thaddeus Schrader, marito di Lady Nanne, animatrice di rinomati eventi musicali e operistici, raffigurata da Boldini nel 1902. Giovanni realizza sia il ritratto di Beit che quello di Kaan: ambedue a mezzobusto e affini per l’analogia compositiva, le qualità luminose, l’esecuzione precisa e la verosimiglianza del carattere e delle attitudini.
Quello di Kaan ha un posto di riguardo nella sontuosa dimora del commerciante in avenue d’Iéna a Parigi. Le tre sale del primo piano sono dedicate infatti all’esposizione della sua ricca collezione e alla fine dell’ideale visita in villa appare il ritratto di chi la abita: “una delle migliori pagine di questo artista, in cui ha reso con una intensità di vita incredibile la celebre figura del collezionista”, scrive appropriatamente il Nicolle dopo aver ammirato l’intera raccolta.
Loredana Angiolino
Ringraziamenti
Gli archivisti di Londra, Tate Library & Archive.
Naomi Miwa Saito della New Haven, Yale University Library, Beinecke Rare Book and Manuscript Library.
Gli archivisti di Londra, London Metropolitan Archives.
Philippa van Straaten, conservatrice al patrimonio alla Johannesburg Art Gallery di Johannesburg.
Gli archivisti della Dublino, National Library of Ireland.
Il professor Michael Stevenson di Città del Capo per i consigli ricevuti. I bibliotecari dell’Università di Città del Capo in Sudafrica.
Tiziano Panconi, presidente del Museoarchives Giovanni Boldini Macchiaioli di Pistoia.
E naturalmente Cristina Mochi e Leonarda Bray.
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