DA FERRARA A FIRENZE, L’INCONTRO CON I MACCHIAIOLI (1842-1870)
Fin dal suo esordio, cioè dal lungo soggiorno fiorentino iniziato nel 1864, l’artista partecipò al clima rivoluzionario della Firenze risorgimentale e ai moti di rinnovamento ideologico e artistico dei macchiaioli, avvertendone tutta la portata innovativa. Firenze, negli anni sessanta dell’Ottocento, era la capitale artistica italiana e vi convenivano abitualmente i più importanti maestri europei, in particolare francesi, dando luogo a continui scambi culturali e reciproche influenze stilistiche fra Italia e Francia. Furono, questi, anni di straordinaria creatività per l’artista che a Firenze pose radici profonde che costituirono la solida base luministica della sua successiva cifra francese. La luce potente della “macchia”, con le sue forti contrapposizioni chiaroscurali, rimase infatti per Boldini una sorta di ossatura compositiva sulla quale via via innestò i successivi aggiornamenti stilistici.
A questo fondamentale periodo (1864-1870) è dedicata una delle sezioni principali della mostra, che intende evidenziare il proficuo rapporto di scambi, commistioni e collaborazioni con i compagni macchiaioli come Telemaco Signorini, Vito D’Ancona ma soprattutto Cristiano Banti, le reciproche influenze con Giovanni Fattori e l’iniziale avvicinamento a Michele Gordigiani, il più affermato ritrattista della Firenze granducale.
A Firenze Boldini iniziò ad amare la Francia ancora prima del primo viaggio compiuto nel 1867 a Parigi, città nella quale emigrò definitivamente nel 1871. I macchiaioli, già dal 1856, erano infatti impegnati in un ammodernamento della pittura basato sull’osservazione diretta della natura da trascrivere nella sua essenzialità espressiva attraverso un largo e potente fraseggio di luci e ombre, restituendo una speciale forza ottica capace di trasmettere verosimiglianza e vitalità al soggetto. Castiglioncello, in particolare la tenuta di Diego Martelli dove anche Boldini soggiornò con gli amici pittori, e soprattutto l’ambiente artistico della cosiddetta scuola di Piagentina, furono i luoghi filosofici della cifra stilistica del pittore ferrarese in questi anni toscani.
Alla Promotrice fiorentina del 1866 espose quattro piccoli ritratti di personaggi rappresentati in ambienti domestici, di concezione completamente inedita, che furono recensiti l’anno seguente da Signorini con queste parole: “I ritratti sono fin qui fatti con una massima sola, cioè dovevano avere un fondo unito il più possibile per staccare e non disturbare la testa del ritrattato; precetto ridicolo e lo dice il sig. Boldini, con i suoi ritratti che hanno un fondo, ciò che presenta lo studio di quadri, stampe ed altri oggetti attaccati al muro, senza che per questo la testa del ritrattato ne scapiti per nulla”.
Boldini si dimostrò quindi, fin dai primi anni di attività, capace di innovazioni e di repentine trasformazioni estetiche destinate a suggestionare parte dei pittori ritrattisti dell’epoca, primo fra tutti
proprio il suo amico e recensore Telemaco Signorini, che di lì a poco dipinse due quadri di identica impostazione, come Aspettando e Non potendo aspettare.
A Firenze l’artista entrò in contatto con l’aristocrazia locale che gli procurava proficue commissioni e, in particolare, con la nobile inglese Isabella Falconer, la quale divenne per qualche anno sua mecenate, ospitandolo nella villetta La Falconiera, a Collegigliato, nella campagna pistoiese, dove dipinse i grandi affreschi murari, oggi staccati e conservati a Palazzo dei Vescovi sempre a Pistoia. Qui l’artista, sotto la protezione della nobildonna, poteva lavorare osservando i dolci declivi del paesaggio circostante. All’epoca Boldini frequentava anche Marcellin Desboutin presso la villa dell’Ombrellino a Firenze dove il drammaturgo, pittore e incisore francese aveva costituito un vero e proprio avamposto della cultura d’oltralpe contemporanea ospitandovi gli artisti francesi di passaggio a Firenze.
Negli stessi anni nel capoluogo toscano venne aperta al pubblico la pinacoteca del principe russo Anatolio Demidoff, che raccoglieva opere d’arte contemporanea provenienti dai Salon parigini. I modi innatamente aristocratici, la vocazione alla mondanità e agli ambienti altolocati ma anche le grandi prospettive di carriera e la voglia di ottenere un riconoscimento economico adeguato per il suo lavoro, spinsero Boldini a lasciare Firenze nel 1871, per soggiornare qualche mese a Londra e poi trasferirsi definitivamente a Parigi.