Il movimento artistico dei Macchiaioli fu fra i più importanti dell’Ottocento internazionale e nacque a Firenze dalla volontà di alcuni artisti che, a partire dal 1856, si incontrano al caffè Michelangelo, vicino alla locale Accademia, per confrontarsi e discutere liberamente idee e filosofie innovative sulla pittura.
Gli artisti che presero parte al movimento, negli anni cruciali fra il 1856 e il 1868 furono: Giuseppe Abbati (1836 – 1868), Saverio Altamura (1822 – 1897), Cristiano Banti (1824 – 1904), Giovanni Boldini (1842 – 1931), Odoardo Borrani (1832 – 1905), Luigi Bechi (1830 – 1919), Vincenzo Cabianca (1827 – 1902), Adriano Cecioni (1836 – 1886), Vito D’Ancona (1825 – 1884), Giovanni Fattori (1825 – 1908), Silvestro Lega (1826 – 1895), Antonio Puccinelli (1822 – 1897), Raffaello Sernesi (1838 – 1866), Telemaco Signorini (1835 – 1901), Serafino De Tivoli (1826 – 1892).
I giovani pittori – alcuni di loro partecipando anche alle guerre di indipendenza – avvertirono, la necessità di confrontarsi con i cambiamenti artistici europei, soprattutto con quanto stava accadendo nella pittura francese, codificando un linguaggio pittorico del tutto nuovo, estremamente sintetico e espressivo.
Molti altri artisti italiani si impegnarono per il rinnovamento del linguaggio estetico ottocentesco ma i Macchiaioli furono l’unico movimento considerato una vera scuola, sia per gli intenti comuni dei componenti del gruppo, sia per la qualità delle ricerche e delle sperimentazioni intraprese. Fra loro vi furono alcuni veri e propri teorici, come i pittori Adriano Cecioni e Telemaco Signorini e il critico e mecenate Diego Martelli.
La “Macchia” si contrapponeva ai dettami etici e pittorici dell’Accademia fiorentina che imponevano agli allievi soggetti tratti dalla letteratura o dalla storia e per giunta eseguiti con tecniche che tendevano alla compiutezza fotografica, sempre uguali a se stesse.
I giovani novatori dettero invece vita a un lessico espressivo di avanguardia, andando a dipingere all’aria aperta e prendendo a soggetto solo ciò che i loro occhi potevano realmente vedere: “il vero”. Ne scaturì una cifra stilistica essenziale, caratterizzata da forti contrasti chiaroscurali fra luci e ombre.
Il termine “macchiaioli” venne però coniato solo qualche anno dopo, per la prima volta su La gazzetta del popolo nel 1862 e in accezione dispregiativa, poichè i pittori furono accusati di ridurre il quadro a un semplice abbozzo, a un insieme di macchie, evidenziando così il netto rifiuto del disegno accademico in favore della “macchia” e degli effetti dei toni di colore.
Successivamente il nome fu adottato dagli stessi componenti del gruppo. Questi artisti, ruppero con il Classicismo e il Romanticismo, rinnovando così la cultura pittorica italiana e sono pertanto considerati come gli iniziatori della pittura moderna italiana.
Le loro teorie affermavano che l’immagine “del vero” si presenta come un contrasto di macchie di colore e di chiaroscuro. Tali effetti si potevano cogliere ancor meglio osservando i paesaggi attraverso il riflesso di uno specchio scuro, annerito con il fumo (una tecnica chiamata ton gris), così capace di filtrare nettamente i contrasti del chiaro scuro, permettendo di rappresentare, esaltandoli, i contrasti chiaroscurali all’interno del dipinto.
La tecnica utilizzata da questi pittori consisteva nel riportare nel dipinto le impressioni ricevute dal vero tramite macchie di colori di chiari e di scuri.
Oltre ai soggetti paesaggistici, uno dei dei temi preferiti dai Macchiaioli furono le scene di intimità domestica e di vita quotidiana. Moltissimi, specialmente fra la fine degli anni ’50 e gli inizi del ’60, furono le opere raffiguranti soldati e le battaglie. Temi divenuti poi consueti, per tutta la vita, per il caposcuola Giovanni Fattori.
La maggior parte di questi artisti, infatti, parteciparono come volontari alle guerre d’indipendenza, combattute per ottenere l’Unità d’Italia.
Gli aderenti al movimento e le loro opere, furono quindi molto sensibili e influenzate dagli eventi storici, culturali e ambientali del loro tempo e anche se non dichiaratamente, pensarono all’arte non soltanto quale strumento di espressività estetica ma anche come mezzo di comunicazione per l’affermazione e la testimonianza ideologica.
Nel processo di ammodernamento sociale che accompagnò la collettività ottocentesca, la “Macchia”, svincolatosi dagli obblighi delle committenze nobili o regie, si assunse l’onere di rappresentare la realtà così come si presentava agli occhi dell’artista, chiamato dal comune senso civico risorgimentale e dall’amor patrio a fotografare la vita delle classi più disagiate, sovente impegnate nel duro lavoro dei campi o in quelli più umili nelle città. In una sorta di celebrazione naturalistica del connubio fra uomo, natura e ambiente cittadino e specialmente nella seconda metà del secolo, l’artista coglieva il senso di sofferenza e allo stesso tempo di dignità della plurisecolare civiltà contadina che costituiva il sostrato sociale dei piccoli staterelli nazionali, poi riuniti sotto la bandiera sabauda.
Le condizioni di emarginazione e di disagio del mondo contadino, offrendo una visione talvolta cruda, talvolta struggente, furono rappresentate dai più grandi artisti del secolo e in Italia, fra tutti, appunto dal gruppo dei Macchiaioli. Erano gli anni delle rivolte e delle moderne conquiste sociali, e poi del riammodernamento urbanistico della Firenze Capitale d’Italia: i contadini si riversavano dai campi nelle città, popolando le periferie e le fabbriche, fino a innescare un processo di amalgamazione con la classe media fiorentina.
Il rinnovato interesse sviluppatosi intorno alla pittura dell’800 italiano, lungo il corso degli ultimi trent’anni, ci ha dato modo di arricchire il catalogo di studi storico critici esaminando gli aspetti della vita e soprattutto del corpus artistico di alcuni maggior artisti dell’epoca.
Circa 100 opere altamente significative della produzione dei caposcuola italiani attivi a Firenze, alcuni combattenti e eroi del Risorgimento, compongono la collezione del Museoarchives, rappresentando in ogni aspetto le forme dell’avanguardia ottocentesca, la cui ricerca e i cui contenuti innovativi vertono soprattutto sulla potenza espressiva della luce.