Nell’ottobre del 1872 Giovanni annunciava un viaggio in Spagna da intraprendere da gennaio a maggio, dove probabilmente si recò, non sappiamo se in queste stesse date o qualche mese dopo questa comunicazione, con Berthè, immortalata in due dipinti in costume ispanico: Coppia in abito spagnolo con due pappagalli, appunto, e Torero e suonatrice di chitarra, datato 1873. Sebbene un lecito dubbio sulla effettiva realizzazione in loco dei dipinti si possa sollevare osservando il tavolo, presente anche in altre opere dello stesso periodo certamente eseguite a Parigi, l’itinerario potrebbe aver previsto almeno una tappa in Andalusia, spingendosi forse, addirittura, fino in Marocco, come suggeriscono l’ambientazione e gli arredi etnici di Dopo il bagno, in cui sono rappresentate due donne di colore dai tratti tipicamente magrebini.
Il dipinto qui riprodotto testimonia un avvicinamento di Boldini a Mariano Fortuny e alle sue rappresentazioni folcloristiche e pittoresche della Spagna, introdotte dall’artista catalano nel repertorio svariatissimo della maison Goupil. Dello stesso periodo è anche Torero e suonatrice di chitarra di Williamstone e in entrambi risalta l’estrema, minuta descrittività nella resa dell’ambiente, nelle fogge dei caratteristici traje de luces con montera e dell’abito della donna con mantilla, denotando una vera propensione per tutto ciò che è popolare.
I due soggetti sono vivaci: in uno prevale la melodia di una suonata alla chitarra, nel nostro la distrazione provocata dal gioco di due pappagalli sul trespolo. Dai dipinti di Fortuny, in cui lo stile è elegante e virtuosistico, trapela un cromatismo caldo, tipico dei paesaggi spagnoli, dell’Andalusia in particolare, visitata più volte dal pittore catalano.
Durante il soggiorno a Parigi, dove si reca nel 1867, Fortuny diventa gradito al pubblico grazie alle immagini ottimistiche e spensierate che offre con i suoi dipinti. Il pittore, come osserva Cecioni, “diventò in quel momento l’homme du jour, l’homme du succès, non si parlava che di lui. La sua pittura minacciava di far uscire di moda quella di Meissonier dalla quale proveniva” (A. Cecioni, Scritti e ricordi, a cura di G. Uzielli, Firenze, 1905, p. 367). La celebre opera La Vicaria iniziata nella capitale francese, fu esposta nel 1870 nell’atelier di Goupil assieme a Il Caffè delle rondini, I bibliofili, Il domatore di serpenti e altri ancora, e fu poi venduta per 70.000 franchi, cifra esorbitante per quei tempi.
Boldini è attratto dalla leggerezza del tocco del pittore spagnolo, dalla freschezza decorativa, dall’andamento accelerato e penetrante e dai guizzi frenetici della pennellata. Nella piacevole scenetta aneddotica descritta in questo dipinto, l’artista ferrarese riesce con inusitata leggerezza a rendere lo scintillio e la vitalità del soggetto; lo sfavillante colore, incontrastata ricchezza del dipinto, converge nel far trapelare un ammiccante sentimento di prorompente vivacità. Anche la pennellata vibrante e picchiettata, adatta a riprodurre la diversità delle circostanze luminose del vero, è simile a quella di Fortuny.
La capacità di cogliere gli aspetti tipici di tradizioni artistiche varie e diverse era confacente alla personale ricettività di Boldini che già a Firenze aveva arricchito il suo repertorio culturale frequentando la Villa Demidoff a San Donato e con maggior assiduità la villa di Bellosguardo dove attraverso Marcellin Desboutin, dedito alle copie di antichi maestri, approfondì la conoscenza della pittura fiamminga.
Tiziano Panconi, Boldini Mon Amour, Pacini Editore, Pisa, 2008