La villa Niccolai Lazzerini, situata a nord della cinta muraria della città in prossimità del fiume Brana, in località Bigiano basso, è un edificio distribuito su tre piani con il prospetto principale riovolto a sud e connotato da finsetre arrichite con cornici trompe-l’oeil di linguaggio neo-manierista che, in quest’area, sono individuabili nel lessico architettonico a partire dal XVIII secolo.
L’aspetto attuale della villa costituisce l’edizione architettonico-decorativa voluta dalla famiglia Niccolai che la acquisì nel 1863, anche se possono essere ritracciati alcuni elementi delle molte trasformazioni operate a partire dal XVII secolo. L’edificio documentariamente indetificato come “villa” almeno dal 1671 quando era parte dell’esteso patrimonio immobiliare dei Fabroni che stabilirono in quell’anno la vendita della villa “et oratorio et un podere unito insieme con la casa da lavoratore, aia, forno, pozzo et sue ragioni”. Della redazione archittetonica seicentesca rimangono oltre all’oratorio, anche le cantine situate nella posizione ovest del fabbricato; i considerevoli spessori murari della parete e dello spigolo sud – ovest (90 – 100 cm) del vano al piano terra, che attualmente è utilizzato come sala da pranzo, potrebbero far supporre che l’edificio nel XVII secolo fosse costituito nella forma che ricorda una “torre appalagiata”. Il documento del 1671 indica una “villa con casa da padrone” indicando la transizione in atto dell’edificio che da residenza signorile di tipo tardo – medievale si era evoluta verso la rinnovata tipologia di “villa”. Appunto, secondo le tendenze in atto nel Granducato tra il XVI e il XVII secolo. La traccia della coesistenza di due nuclei edilizi edificati in tempi diversi è presente nel prospetto poseriore della villa nel quale si aprono finestrature di dimensioni diverse, e che non sono disposte secondo una cadenza regolare, come invece accade nel prospetto principale. All’estremità destra del proseptto nord si aprono finestre di piccole dimensioni e molto ravvicinate, che corrispondono ad ambienti di dimensioni minori rispetto a quelle nella zona est e presentano inoltre planimetrie irregolari, segno di ripetuti adattamenti.
L’acquisizione della proprietà da parte di Lorenzo Bellincioni (1671) produsse delle modificazioni sia nella villa sia nell’architettura dell’interno dell’oratorio di San Bartolomeo, situato in prossimità dell’abitazione, al termine di uno dei due assi viari, ortogonali, che hanno centro nella villa. L’asse est – ovest è tangente al piccolo oratorio con funzioni di cappella gentilizia; questo è costituito da un unico vano, coperto in volta, con l’altare che suddivide idealmente lo spazio sacro nella zona per i fedeli e quella dedicata alle suppellettili sacre, in forma di piccola sacrestia. Della Redazione settecentesca della cappella rimane l’altare con paliotto convesso e mensole di sostegno alla mensa in forma di voluta, in posizione estroflessa secondo il gusto proprio del tardo barocco. È probabile che i lavori di ristrutturazione della cappella siano stati intrapresi da Giuseppe Bellincioni per adeguare l’edificio al gusto del tempo, in concomitanza della sua ammissione al patriziato cittadino avvenuto nel 1755.
L’attuale redazione dell’esterno della cappella di San Bartolomeo è da ascrivere al XIX secolo, realizzata secondo un gusto di ispirazione storicistica, allora molto in voga, che vide la ripresa di linguaggi decorativi del Medioevo: in questo caso elementi propri del romanico e del gotico. L’esterno della cappella di san Bartolomeo conserva ancora la qualificazione dovuta agli intonaci dipinti con fasce bicrome; nella parte alta, nel sottogronda, sono presenti tarsie geometriche a trompe l’oeil. La cappella custodisce le spoglie mortali di Giuseppe Scarfantoni, della moglie Costanza e di due figli: Francesco e Alessandro.
L’appartenenza della villa alla famiglia Bellincioni fu segnata da lavori di ristrutturazione e ammodernamento che portarono alla realizzazione di un edificio assai prossimo nella volumetria, a quello attuale poichè, già sul finire del XVIII secolo, la villa era costituita da “diciotto stanze” che corrispondono, (senza considerare le tramezzature successive e quindi più recenti, evidenziatee dallla presenza di spessori murari di minore sezione), al numero di vani presenti, ggi, nella villa Niccolai.
Due sono i collegamenti verticali: una scala a chiocciola destinata all’uso della servitù, situata nella prozione più antica, e collocata nella zona ovest dell’edificio. Lo scalone a pozzo situato, invece in posizione baricentrica, nella sistemazione attuale, è probabilmente frutto di uan riqualificazione ottocentesca con l’apposizione di un nuovo parapetto. L’impegno di Bellincioni si estese anche all’architettura del giardino; nel 1792 è infatti documentata la presenza di “un orto muratoa uso di giardino”.
A partire dal secondo decennio del XIX secolo la villa di Bigiano divenne la villa della famiglia Scarfantoni che la usarono come luogo di soggiorno e svago fuori dalla città, qualificando i giardini con collezioni di agrumi e di “varianti fiorami” realizzando il boschetto di allori e un chiosco sul retro. Tutta l’architettura verde, di cui faceva parte anche un sistema di approvigionamento d’acqua “fornito di vasce”, è andata perduta nel tempo; di essa restano i cancelli di ferro con lo stemma gentilizio dei Niccolai Lazzerini. Una “scuderia con rimessa e fabbrichette di comodo e abbellimento” completavano la dotazione della villa.
Torello Niccolai acquista la villa di Bigiano nel 1863; è un “intraprenditore di lavori pubblici”; appare chiaro come non sfuggissero al Niccolai le caratteristiche architettoniche dell’edificio e del suo contesto. A lui si devono i lavori di qualificazione dell’interno con l’opera di decoratori presenti in città nella seconda metà dell’Ottocento.
L’interpretazione dell’architettura del salone a piano terra richiama la presenza, a trompe l’oeil di due fasce a cassettoni con rosoni. Sostenuto da lesene che si rifanno alla memoria modelli di architetture cittadine ritenute “identitarie”, il salone della villa Niccoai intende mettere in comunicazione il giardino attraverso al monumentale via di accesso, che conduce al prospetto principale, con il boschetto di allori retrostanti la villa. Gli ambienti prossimi al salone presentano programmi iconografici che ne indicano l’uso; la sala da pranzo, a sinistra del salone, presenta medaglioni con “gastronomiche” nature morte caratterizzate da pescato e cacciagione, mentre la sala a destra ha il soffitto decorato con panoplie di carte da gioco. L’interesse per la villa di Bigiano, e la sua valorizzazione, prosegue con il figlio Sabino Niccolai che nel 1896 la dotò di modenrissimo, allora, impianto di riscaldamento, progettato dall’ingegnere fiorentino Dante Parenti; successivamente furono riqualificati anche gli ambienti del secondo paino con dipinture seriali di raffinato gusto liberty, sia per le pareti che per i soffitti, e ancora perfettamente conservate.